MEZENZIO

Sottotitolo: eroe etrusco dimenticato o tiranno (stasiòtes/homo sacer) imposto dalla propaganda imperiale?

1. Premessa.

1.1. Il mito del tiranno (contemptor deum) Mezenzio nella battaglia contro l’eroe Enea presenta delle analogie con il mito del tiranno (o Tite tute Tati tibi tanta tyranne tulisti) Tito Tazio contro l’eroe Mevio Curzio nella battaglia del lago Curzio. L’Eneide in particolare colloca Mezenzio coevo ad Enea (XII sec. a.C.), mentre altre fonti lo collocano nel VI sec. a.C. come re dell’opulenta città di Cere.[1]

1.2. Il mito romano del ratto delle Sabine del re bene voluto Romolo e del co-regnante e tiranno Tito Tazio è analogo al mito latino di Turno (re dei Rutuli) e Lavinia (figlia di Latino e Amata) ed affine alla narrazione dei personaggi di Danao e delle Danaidi, di Pelasgo ed Egitto nella tragedia greca delle Supplici di Eschilo (V sec. a.C.) [2]; dove per ambientazione della scena e la presenza delle are [3], il luogo della tragedia è da taluni storici ricollocato dalla spiaggia di Argo a quella di Lavinium.[4]

1.3. Si è recentemente riscoperto che Mezenzio – a differenza dei personaggi mitologici di Enea, Tito Tazio e Mevio Curzio – fu il nome di una famiglia etrusca realmente esistita; il nome compare come segno distintivo[5] su un calice d’impasto (675-650 a.C.) conservato al Louvre di Parigi (mi laucies mezenties).[6]

1.4. La tomba nota come heroon di Enea (VII sec. a.C.), sita a Pratica di Mare (Pomezia), si ritiene sia riconducibile ad un Indiges [7] che potrebbe anche essere riconosciuto in Mezenzio; e un legame culturale delle origini si può attribuire con Roma in relazione al complesso monumentale arcaico a forma di U posto sotto il sito del Foro romano noto come Lapis niger – o meglio niger lapis in Comitio con il cippo datato 575-550 a.C. – ritenuto essere da taluni la tomba di Romolo.[7bis]

2. Interpretazione.

2.1. Nel tentativo di congetturare una ricostruzione della figura storica di Mezenzio – sulla base delle vicende narrate sia dai Greci nella tragedia Le supplici di Eschilo, sia dai Romani/Sabini nel mito del ratto delle Sabine – si possono interpolare i personaggi ed i luoghi come segue:

  • il re esule bene voluto in Danao/Romolo,
  • il tiranno co-regnante (contemptor deum) in Egitto/Remo->Tito Tazio,
  • l’eroe greco/etrusco-sabino in Pelasgo/Mezenzio->Mevio Curzio;
  • le vittime della tirannia nella Dignitas/Libertas degli uomini e dei popoli: Danaidi/Ambasciatori;
  • il luogo di partenza della nave in Egitto/Siria (Eliopoli/Pelusio?)[7ter]
  • la scena dello sbarco Peloponneso/Lazio in Argo/Lavinium.

Il luogo dello scontro tra il tiranno Egitto/Remo-Tito Tazio e l’eroe Pelasgo/Mezenzio-Mevio Curzio –  perduto nelle Supplici – dovrebbe essere nel Lacus Curtius.

2.2. La sorte dell’eroe greco/etrusco Pelasgo/Mezenzio corrisponde quindi a quella dell’eroe romano/sabino Mevio Curzio, mentre la sorte del tiranno Egitto è la stessa del tiranno romano/sabino Tito Tazio.

2.3. Il reale luogo di sepoltura di Mezenzio (attribuito anche a Tito Tazio) allora potrebbe essere individuato nell’heroon/tumulo di Enea/Indiges, che pare ripotasse la seguente iscrizione: “PATRIS DEI INDIGETIS, QUI NUMICII AMNIS UNDAS TEMPERAT[8].

2.4. La reale tomba del tiranno o della tirannia (attribuita anche a Romolo)  – il fratello e/o co-regnante di Danao/Romolo – impersonato da Egitto per i Greci e da Remo-Tito Tazio per i Romani/Sabini, potrebbe essere la voragine (umbilicus urbis) apertasi nel luogo dove sorge l’attuale Foro romano e ricoperta di terra, dove nella lotta Egitto/Remo-Tito Tazio fu ucciso o gettato o morì o cadde colpito da un fulmine.

2.5. L’altare a tre ante realizzato nella caratteristica tradizionale disposizione a ferro di cavallo U – con il cippo riportante la lacunosa iscrizione in latino arcaico (alfabero greco/etrusco) di tenore precettivo (lex sacra o lex regia)[8bis] anzichè evocativo (cfr. 2.3), posti nelle immediate vicinande dell’umbilicus urbi, e ricoperto del lapis niger durante l’epoca repubblicana dopo il sacco dei Galli nel 390 a.C. – potrebbe rappresentare il “sigillo” alla tirannia, condannata espressamente anche da Giove che aveva fulminato il tiranno.

3. Il vero tiranno e l’eroe dimenticato.

3.1. In questa ipotetica ricostruzione della vicenda narrata sia nel ratto delle Sabine sia dal Le supplici di Eschilo, il tiranno Egitto/Remo-Tito Tazio avrebbe compiuto al contempo un atto di empietà e di vilipendio contro il nemico e contro la dignità del suo stesso popolo o parte di esso (“Vicimus perfidos hospites, imbelles hostes“)[9], e quindi fù giustiziato dai suoi (Danaidi/Laurentini) per riscattare l’offesa alla dignitas e libertas. Rifacendosi a Catone, non è da escludere – secondo la cultura romana – che l’uccisione di Mezenzio costretto in duello all’interno di un’area sacra abbia arrecato una doppia offesa: alla Dignitas degli ospiti e/o alla sacra Libertas del popolo ospitante. [9bis].

3.2. Si potrebbe inoltre congetturare che il tiranno Egitto/Remo-Tito Tazio – sconfitto ma non ucciso dopo lo scontro con Pelasgo/Mezenzio-Mevio Curzio in cui quest’ultimo morì da eroe – avesse raggiunto un compromesso di pace con gli indigeni Tirreni (Etruschi) e Rutuli (Latini da Latona) che si erano schierati contro i Focei, in difesa delle esuli del fratello Danao/Romolo, ma per aver compiuto nel contempo un doppio sacrilegio il tiranno fu giustiziato dai suoi: le Danaidi che poi si uniscono con i Pelasgi (secondo la tragedia greca delle Supplici di Eschilo), ovvero, dagli abitanti di Laurentum che poi si uniscono ai romani nella nuova Lavinium (secondo la tradizione romana del ratto delle Sabine).[9ter].

3.3. In seguito al tirannicidio, che nella tragedia greca sarebbe simboleggiato dalle Danaidi che uccidono i loro mariti tranne uno, l’intero popolo degli esuli egiziani della fazione di Danao/Romolo e del defunto fratello tiranno Egitto/Remo-Tito Tazio, si sarebbe unito dapprima con i latini dell’antica Laurentum, fondando sulla rupe nei pressi delle are la nuova Lavinium: la città dei Laurentes Lavinates – e dopo con i tirreni dell’eroe Mezenzio, fondando Roma con le tre Tribus (30 Curiae) dei Ramnes (gli esuli di Danao/Romolo – Giove/Zeus/RaAmon)[10], dei Titienses (Latini dell’antica Laurentum – Saturno/Latona/Diana/Teti/Pico/Penati) e dei Luceres (gli armati di Laucie MezentiesMarte/Laran/Lari).

3.4. Di altre motivazioni sul tirannicidio si potrebbe ancora congetturare, ad esempio, un sacrilegio o atto di sangue (duello?) compiuto all’interno dell’area sacra o meglio la pretesa di un sacrificio (economico) per sé (ed escludendo sé) e non per gli dei (doppia offesa); ciò potrebbe anche spiegare la distruzione dell’ara XIV di Lavinium.

3.5 La propaganda imperiale commissionata a Virgilio con l’Eneide pare voglia mandare nell’oblio precetti legati al sacrificio economico  quando trasforma Mezenzio da eroe in tiranno, soppiantandolo col mito di Enea. Evidentemente precetti arcaici legati ai sacrifici economici richiesti dagli araldi di Egitto (cfr. infra distruzione della XIV ara), cozzavano con le esigenze di riorganizzazione delle finanze imperiali (fiscus Caesaris). In  questo senso sembra trasparire, anche dal racconto su Mezenzio dei Vinalia di Ovidio, una critica (error?) alla promessa della mercede in sacrificio a Giove (ed Augustus) piuttosto che la divisione arcaica tra Marte e Saturno. In questo senso, l’elevazione del princeps ad Augustus (titolo sacrale) pare funzionale anche ad una nuova legittimazione nella gestione delle finanze imperiali, dove all’arcaico Aerarium Saturni si affiancò il nuovo fiscus Caesaris.

4. L’agro laurentino.

4.1. Le fonti legate al luogo (M.T. Varrone, 116 a.C. – 27 a.C.) confermano che la stipre dei Romani fondò Lavinium, la prima fortificazione militare di fronte all’ara (aram) [10bis], notizia confermata da Dionigi di Alicarnasso (60 a.C. – 7 a.C.) (lib. 2). Solo in seguito quindi fu fondata Roma (754 a.C.), mantenendo però a Lavinium la città sacra dei Laurentes Lavinates[11], che conservava i “Dii Penates Patrii“, lì trasferiti dall’arcaica Laurentum, e che più tardi saranno collocati sull’Aventino.[12]

4.2. Quinto Fabio Pittore (260 a.C circa – 190 a.C.) scrisse che la rupe dei Patres si trovava nell’agro Laurenti: “Patricia saxa in agro Laurenti“.[13]

5. Conclusioni

5.1. Le virtù del personaggio storico Mezenzio furono attribuite a Mevio Curzio durante il periodo della Repubblica e ad Enea durante il principato, per celare un atto di empietà – a carattere sanguinario (ex parte exercitii) e/o dal contenuto economico (ex defectu tituli) – contrario alla divinità e/o alla comune dignità, compiuto da un comandante (Egitto/Remo-Tito Tazio?) degli esuli di stirpe tirrena (Pelasgi d’oriente): i futuri Romani, tornati via mare nel Lazio dopo un’emigrazione nel lontano Medio Oriente.

5.2. Nelle supplici di Eschilo, l’unico tiranno che non può essere legittimamente ucciso è quello che è bene voluto dal suo popolo, “dittatore democratico” [14] – il marito senza colpa Amimone o Linceo della Danaide Ipermnestra – descritto dal Machiavelli come “principe illuminato” (Caesar).

Dedica: “Ovidio mi fù gran meastro nella grande conquista!”


NOTE

1. Mezenzio fu re di Cere, l’antica città di Agilla, luogo ora denominato Cerveteri (cfr. Descrizione di Cere antica, Luigi Canina, 1838) che Virgilio (70 a.C. – 19 a.C.) nell’Eneide descrive (VII libro vv.647-654 – Evandro, VIII libro vv.478-496) come aspro guerriero, crudele ed empio, immobilizzatore (stasiòtes) di uomini con cadaveri (oggi i debiti nelle c.d. “bad bank”cfr. Faliciano Serrao, Diritto@Storia N. 7-2008, Memorie//MMD-Giuramento-plebe-Monte-Sacro, Lex Sacrata, Le Trattative col senato. L’accordo), per torturarli o procurare loro la morte. Agilla fu la più importante delle città Pelasgiche d’occidente e gli abitanti conservavano un thesauros al santuario Delfi dove mandavano la decima delle continue piraterie. Erodoto (484 a.C. – 430 a.C.) I 57: “Quale lingua parlassero i Pelasgi, non sono in grado di dirlo con esattezza; ma, se è lecito esprimere un parere congetturando da quei Pelasgi che ancora sopravvivono ed abitano al di là dei Tirreni la città di Crestone, … i Pelasgi parlavano una lingua barbara.” Per la storiografia greca successiva alla prima metà del IV sec. a.C., ‘il Tirreno’ era ormai il pirata per antonomasia (cfr. Phalasarna). E’ del Pittore del Vaticano (530 a.C.) la figura di donna piangente sul cadavere di un guerriero, che decora un’anfora di Vulgi. “Da Erodoto (I 167) apprendiamo che gli Agillesi, rei di avere lapidato i prigionieri focesi a seguito della vittoria navale di Alalia, riportata insieme ai Cartaginesi, si sarebbero rivolti alla Pizia presso l’omphalos per allontanare le storpiature e le paralisi sopraggiunte agli uomini e al bestiame. Secondo Erodoto gli Etruschi, anziché cremare i cadaveri dei Focei, abbandonarono insepolti i corpi nel luogo stesso della lapidazione, provocando, in questo modo, l’abbattersi della malattia sulla loro città. Le ragioni della Battaglia navale di Alalia (541-534 a.C) sarebbe conseguente al comportamento dei Focei (pentecòntero nave da guerra munita di rostro) che rapinavano e saccheggiavano tutti i popoli vicini.” “Perciò è probabile che la partecipazione alla battaglia di Alalia degli Etruschi di Agilla e degli alleati Cartaginesi si configurasse, proprio, come un’azione punitiva, giustamente definita, di “polizia internazionale”- (Cfr. Tyrrhanoi visti con gli occhi dei Greci: Cortona? Un caso ‘sospetto’ di ktisis greca. Egidia Occhipinti, 2008 – Sull’origine dei Tirreni cfr. anche Strabone (64 a.C. – 19 d.C.), Geografia, libro V.
Ovidio (43 a.C. – 18 d.C.) fa comparire Mezenzio nella festa delle Vinalia che, dopo avere ascoltato la richiesta di aiuto militare di Turno, per difendere la promesa sposa Lavinia (figlia di Latino e Amata) dalle pretese di Enea, dice: “tanto valor possiedo a mio gran costo: le armi il san del sangue mio bagnate di sovente, e il petto alle ferite esposto. Da te (Turno) che chiedi la mia protezione (Qui petis auxilium) dividi con me (Mezenzio) non grandi ricompense, inviami una parte dei mosti (vino) che per primo avrai dai tini tuoi cavati. (Mora operae nulla est: vestrum dare, vincere nostrum [error?]) Il segno di riconoscimento dell’opera (impegno militare richiesto) è insignificante: la vostra maniera di essere (natura dei Rutuli – Saturno) è produrre (il vino dalla terra), la nostra (natura dei Tirreni – Marte/Laran) è sconfiggere (i nemici con le armi)“; (“in labore fructus“). Enea invece promise il vino dei nemici Rutuli a Giove (ed al fiscus Caesaris dell’imperatore: “colui che è sacro per designazione divina”, Augustus) e vinse lo scontro; per questo la romana festa dei Vinalia è il giorno di Giove. (Fasti, IV, 885-890).
L’origine del vino “Cerveteri DOC” risale all’epoca della storia antica; le sue origini si ritrovano infatti nella storia e miti degli Etruschi, che adottarono ovunque il sistema di allevamento della “vite maritata”, cioè coltivata appoggiata a sostegni.
Cfr. anche “Testudo, tegula deliciaris e il tempio di Giove capitolino“, Ferdinando Castagnoli, Mélanges de l’Ecole française de Rome. Antiquité Année 1986 Vol 98 N 1 pp. 37-45. “Per il tipo di tetto a tre falde, lo Arden richiama la tomba degli Animali Dipinti di Caere… La tesi è accetata da G. Colonna …reali edifici a tetto testudiniano (in mudum testudinis), erano per esempio il tempio di Vesta nel Foro o quello dei Penati a Lavinium… Il frammento di tegola trovato ad Ardea non può considerarsi una prova certa (è solo indizio) per l’esistenza di tetti a tre falde nei templi etrusco-italici, e tanto meno può essere utilizzato a proposito del tempio di Giove Capitolino.”
Catone il Censore (234 a.C. circa – 149 a.C.) riporta che Mezenzio fu ucciso da Ascanio in duello (singulari certamine, Origini, I, frammento 12). La posta dello scontro anche secondo Catone è dare preferibilmente (dare potium) a Giove piuttosto che a Mezenzio: “Iuppiter, si tibi magis cordi est nos ea tibi dare potius quam Mezentio“.
Tito Livio (59 a.C. – 17 d.C.) descrive Mezenzio come il re dell’opulenta città di Cere contrario alla nascita della nuova città e che per questo non ebbe difficoltà a unire in società le armi con i Rutuli (socia arma Rutulis iunxit). In seguito, Mezenzio viene descritto come re timoroso che avendo perso la guerra non osa muovere contro la nuova città, nemmeno dopo la morte di Enea.(Storia di Roma, I, 2-3).
Plinio il Vecchio (23 – 79 d.C) riporta Varrone (116 a.C. – 27 a.C.) che descrive Mezenzio come il re degli Etruschi che offrì protezione militare (auxilium tulisse) ai Rutuli contro i Latini perchè si coltivasse a quel tempo il vino da dividere (vini mercede) nelle terre latine (agro Latino). (M. Varro auctor est Mezentium Etruriae regem auxilium Rutulis contra Latinos tulisse vini mercede quod tum in Latino agro fuisset.)
Per la voragine creata nel Foro, da un terremoto o altro evento della natura, che non potè essere colmata se non con le migliori virtù e tutti i suoi beni cfr. invece T.Livio su Tito Tazio, lacum Curtium e M. Curtium e Curtio Mettio: …lacumque Curtium non ab antiquo illo T. Tati milite Curtio Mettio sed ab hoc (M. Curtium) appellatum. cfr. ab Urbe condita VII, 6.
Tito Livio invece sull’equum Curtio: Monumentum eius pugnae ubi primum ex profunda emersus palude equus Curtium in vado statuit, Curtium lacum appellarunt. ab Urbe condita I, 13. Tratto da Il prodigio del lago Curzio, Attanasio Salvatore.
Tito Livio sulla tribus dei Luceres: Lucerum nominis et originis causa in-certa est.ab Urbe condita VII, 6.
Homo sacer: “nel diritto romano arcaico homo sacer era un uomo che chiunque poteva uccidere (sacer esto) senza commettere omicidio e che non doveva però essere messo a morte nelle forme prescritte dal rito” come un animale che fosse sfuggito al sacrificio. I suoi beni erano conferiti a Cerere. (Giorgio Agamben, 2005 e sullo “Stato di eccezione“: ossia la forma naturale di Stato che non può avere forma legale; l’agire del Popolo al di fuori del contesto costituzionale scritto e non scritto, per preservare (auto-difendere) la propria esistenza, unità, integrità ed incolumità. La sacer esto è la più antica sanzione penale, intesa quale precetto protettivo ipso iure (senza procedura giudiziale), contro coloro che attentavano alla Pax Deorum; ed in questo senso anche Tolstoj predicava che Dio è in ogni uomo (Sovranità). Cfr. anche consecratio del caput (lex sacrata 494 a.C.). Altri Studi di Diritto Penale Romano, Santalucia Bernardo, CEDAM
Per “stasiòtes“: immobilizzatore della realtà, fomentatore di guerra civile cfr. Platone, Le leggi IV, 715a-b. (Maria Chiara Pievatolo)

2. Fu rappresentata per la prima volta al teatro di Dioniso in Atene, probabilmente nel 463 a.C. – In fondo alla scena si vede un poggio, e su questo gli altari dei Numi che proteggono la città. Nei versi dell’Eneide, Virgilio (70 a.C. – 19 a. C.) si rappresenta Agilla elevata su di un vetusto sasso. Le supplici di Eschilo (testo completo), tradotta da Ettore Romagnoli. “Le Supplici sono una fra le produzioni più deboli di Eschilo, ed hanno ciò di peculiare, che il loro coro è il principale personaggio.” (F.Schoell, Venezia, Antonelli Editore, 1827)

3. Sul modello di “supplica rovesciata” delle Danaidi (le 50 figlie di Danao) che rifiutano l’unione in matrimonio con i cugini (i 50 figli di Egitto), che ritengono empio: Danao si raccomanda alle figlie di usare, nella formulazione della loro richiesta di aiuto a Pelasgo/Mezenzio, parole rispettose e lamentose che chiariscano il loro stato di bisogno, sottolinea inoltre che dalla voce delle Danaidi non deve trasparire temerarietà, quindi “occorre valorizzare anche l’insolita procedura della supplica rivolta al re Pelasgo/Mezenzio. Il rituale dell’ἱκετεία appare infatti totalmente sovvertito nel segno dell’egoismo, della prepotenza e dell’empietà. L’anomalia delle Danaidi riguarda inoltre anche la loro identità etnica. In contrasto con la loro dichiarazione di appartenenza alla stirpe greca esse si caratterizzano per una serie di “anomalie” che, proprio da un punto di vista greco, sono riconducibili invece ad altra origine, primo fra tutti la loro fisicità.” Dalla lettura dei versi 333-489, che riportano il dialogo tra Pelasgo e le Danaidi, si apprende che le fanciulle, nel corso della loro supplica, si rivolgono al re con toni sorprendentemente tracotanti ed usano parole ben diverse da quelle umili e dimesse che ci si aspetterebbe di sentire pronunciare. In loro inoltre non c’è traccia di quell’autoumiliazione che dovrebbe essere il cardine di tutto il rituale della ἱκετεία.” “Arrivano ad affermare che all’unione coniugale (che simboleggia la loro sottomissione all’autorità del tiranno Egitto) preferiscono la morte e minacciano Pelasgo di impiccarsi con le loro cinture alle statue degli dei presso le quali si trovano (Lavinium), se lui non le aiuterà (vv. 457 e 465).” “L’assunzione da parte loro della veste ἱκέτιδες non appare lecita. Cio nonostante, forti dell’inviolabilità che viene loro dagli altari presso i quali si sono rifugiate (Lavinium), espongono la loro situazione al re Pelasgo/Mezenzio. Non solo, nel corso del confronto queste donne assumono anche un atteggiamento esplicitamente minaccioso: ricordano più volte a Pelasgo/Mezenzio la gravità dell’ira che susciterebbe in Zeus se negasse loro l’aiuto che chiedono. Con l’acuirsi della loro aggressività e del loro atteggiamento intimidatorio, e impartendogli, di fatto, una serie di ordini: “medita e sii giusto protettore che i numi teme”, “non tradire la fuggiasca”, “non tollerare di vedermi strappata via dai sacri altari”, “non accettare di vedere la supplicante via dai simulacri a forza trascinata”. Ben lontane dall’essere soltanto deboli vittime, le Danaidi sono al contrario assai determinate e coraggiose, sicure di sé e persino arroganti: presentano, insomma, un’indole dai tratti tipicamente maschili. Non a caso lo stesso Pelasgo, nel momento in cui le incontra, assimila le Danaidi alle Amazzoni (v. 287). La supplica paradossale delle Danaidi in Eschilo, Claudia Passariello.
L’aggettivo greco ásylos,-on, significa “inviolabile”: indica un luogo in cui un supplice poteva rifugiarsi senza alcun timore di essere allontanato a forza (Mauro Reali, 2012). Il nome Asylum sarebbe da ricondurre a Danao/Romolo (cfr. Tito Livio) in relazione al luogo nel quale avrebbe dato “asilo” a chiunque si fosse trasferito a Roma; il che cozza con il racconto delle Supplici di Eschilo, dove a dare Asylum sarebbe stato Pelasgo/Mezenzio.
Secondo la tradizione romana, il senato fu costituito da Romolo (771 a.C. – 716 a.C.) che volle fosse composto da 100 Patres; numero raddoppiato da Tarquinio Prisco (646? – 579 a.C.). Hic numerum senatorum duplicavit (Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, I, 6), di cui i nuovi 100 provenienti dall’Asylum dell’Aventino sul Monte Sacro. L’anno 509 a.C. segna – secondo la tradizione romana – il passaggio dalla monarchia alla repubblica; Licio Giunio Bruto caccia Tarquinio il Superbo ed i senatori vengono incrementati al numero di 300 (100 per ogni tribus). All’anno 509 a.C. risale anche il trattato tra Roma e Cartagine che sanciva le zone di influenza delle due città. Il 13 settembre del 509 a.C. fù inaugurato anche il tempio di Giove Ottimo Massimo sul monte Capitolino dal primo console Marco Orazio Pulvillo.
Marco Giugno Bruto verso il 54 a.C. emise un denario riportante sul verso la figura di Gaio Servilio Strutto AHALA che privatus aveva salvato la res publica dall’adfectatio tyrannidis di Spurio Melio.
Nelle Argonautiche, Glauco costruì la nave di Argo e guidò gli Argonauti contro i Tirreni in qualità di timoniere; fu l’unico superstite della battaglia, a seguito della quale fu trasformato in mostro marino, per volontà di Zeus.

4. Lavinium, La città dei Laurenti, Giosuè Auletta e Michele Zuccarello. Nel luogo dove fu fondata la nuova città si sarebbe verificato un prodigio visto dai Troiani durante la contesa tra un lupo (Fauno), un’aquila, o un picchio (Pico), e una volpe (Mezenzio). Durante un incendio spontaneo nella selva, un lupo portava con la bocca pezzi di legna secca nel fuoco, mentre un’aquila sbatteva le ali per alimentare le fiamme. Una volpe bagnava la coda nel fiume e gettava acqua sul fuoco nel tentativo di spegnere l’incendio. Alla fine il lupo e l’aquila ebbero la meglio e la volpe sparì nella selva (Dionisio di Alicarnasso, archeologia romana, I, 59).

5. Cfr. per segno distintivo (ndr. cultura etrusca) fibula Praenestina: preziosa spilla in oro lunga 10,7 cm, che reca incisa sulla parte esterna della staffa l’iscrizione latina “Manios med fhefhaked Numasioi”, in latino classico ‘Manius me fecit Numerio’ ovvero ‘Manio mi fece per Numerio’ che in quanto datata attorno alla metà del VII secolo a.C. risulta essere la più antica testimonianza (iscrizione) della lingua latina pervenutaci.

6. Domenico Musti sostiene che non si debba sciegliere tra un Mezenzio del XII sec. a.C. antagosita di Enea ed un Mezenzio del VI sec. tiranno di Caere.  Uno, nessuno e centomila Mezenzio, M. di Fazio.

“Si tratta di un’iscrizione su calice d’impasto riletta in occasione di una ripulitura del vaso … proveniente quasi sicuramente da Caere. L’iscrizione è così concepita mi laucies mezenties, ossia ‘io (sono)  di Lucius Mezentius’, prima ed unica attestazione del singolarissimo gentilizio del celebre re di Caere … (per l’Eneide) tiranno di un vero e proprio impero (ndr. dominio) sul lazio e esattore di pesanti tributi sulla produzione del vino latino (cfr. anche versione di Ovidio, Fasti, IV, 885-890). Quel vino ‘liberato’ da Enea e libato per la prima volta nel santuario lavinate … (santuario panlatino di Afrodite) qualche anno fa identificato con quello detto ‘dei tredici altari’  (XIII are)  vicinissimo all’heroon…”  Ai decenni a cavallo tra 700-650 a.C. si colloca (fase eroica) “…La tomba principesca a fosa coperta da tumulo di Lavinium, nella quale cento anni più tardi si è compiuto un vero e proprio piaculum …” – Mario Pani, Ecole francaise de Rome, Continuità e trasformazioni fra repubblica e principato.

7. Tra il corredo si sono rinvenute ceramiche con vasi per contenere e bere il vino databili al 675 a.C. Tumulo/heroon di Indiges/Enea, A. Carandini, R. Cappelli.
Francesco Petrarca (1304 – 1374) indica in un’epistula come sepolcro di Egitto/Remo la Piramide Cestia con le quattro colonne di Delo a reggerla e la camera sepolcrale con volta a botte, completata nel 12 a.C. Era opinione diffusa del popolo al tempo di Andrea Fulvio (1470 – 1527) che la piramide fosse il sepolcro di Remo, benchè è scritto a lettere di ben forse due piedi il nome “C. Cestio”, se non perchè è posta mezza dentro e mezza fuori delle mura. (Cfr. Roma antica di Famiano Nardini, Ed. IV, Tomo IV, Roma, 1820). Ottaviano Augusto affidò invece la (ri)edificazione del tempio di Diana a Lucio Cornificio: “Multaque a multis tunc exstructa sunt, sicut … a L. Cornificio aedes Dianae” – Svetonio, Augusto 29.5 (cfr. Servio Tullio, l’Aventino e il culto di Diana, Andrea Parodi).
La tomba di Tito Tazio è collocata da Romolo sull’Aventino. Plutarco ricorda che il re sabino giaceva sull’Aventino “in prossimità del cosiddetto Armilustrium” il sacrario delle armi sacre del dio Marte: gli scudi bilobati e le lancie (ancilia e hastae). Varrone e Festo sono concordi nell’affermare che la tomba di Tito Tazio si trovava nell’area nota come Lauretum o Loretum; anzi, Varrone spiega che il toponimo di questa località dell’Aventino derivava o dalla presenza di un boschetto di allori, o proprio dall’uccisione di Tazio ad opera dei Laurentes. (cfr. La tomba di Tito Tazio e l’armilustrium, Francesco Marcattili, 2009)

7bis. – Giuseppe Gatti negò che il sito fosse la tomba di Romolo e ritenne piuttosto che rappresentasse un locus religiosus che doveva essere lasciato coperto o intatto in quanto luogo colpito da un fulmine, e perciò un saxum consaeptum. Lo stesso “ipotizza che l’scrizione del cippo sia una lex sacra del VI sec. a.C. … asserisce che la scoperta del cippo e l’ottima interpretazione di esso avanzata da Ceci dimostrerebbero come nel VII sec. a.C. a Roma vivesse un popolo dotato di un’organizzazione sociale e sacra, capace di usare la prosa elaborata.” Per altri il lapis niger segnerebbe il luogo della morte di Romolo e non della sepoltura. Cfr. La polemica sul <<lapis niger>>, Antonio Porretta – ACME – Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, Volume LVIII – Fascicolo III – Settembre-Dicembre 2005.
Vedi anche l’Ara Consi in Circo Maximo (Francesco Marcattili, 2006).

7ter. Cfr. anche obelisco Masalla. Heliopolis era consacrata al dio sole Ra (Ra-Amon) ed alla sua Enneade o associazione di nove divinità. Una città tra le figlie più antiche del Nilo. Gli antichi Egizi ritenevano che gli obelischi fossero sacri al dio sole. A partire dalla IV dinastia (2613 – 2498 a.C.) ai faraoni stessi venne attribuito il titolo di “figlio di Ra”. Iunu, ovvero, il “luogo dei pilastri” degli Egizi, così era chiamata Heliopolis. Cristina Zadro, Gli obelischi di Roma, 2007. IUNU (geroglifico) esprime il concetto di pilastro, di asse, di centro (di equilibrio). Il luogo dei pilastri (Iunu-Eliopoli) fù per molto tempo la città sacerdotale e spirituale del doppio regno (doppia sovranità: monarchia terrestre e sovrano del regno dei morti, giudice della vita terrena dei vivi e garante della loro resurrezione da morti – mito di Osiride).  RE (dio del sole) – dio di Heliopolis, la “città del Sole” per i Greci. Da Re hanno origine (pare) l’obelisco e la piramide, costruzioni dalla forma a raggiera: la collina primigenia che emerse dall’oceano primordiale del Nun (cfr. anche, come rappresentazione di un raggio di sole, la sacra pietra conica: pietra di Benben – umbilicus per i Romani – omphalos per i Greci). Sulla pietra di Benben viveva l’uccello Benu (brillare, sorgere – la fenice dei Greci).

8. Dionigi di Alicarnasso, lib.1.

8bis. Per interpretazione di lex regia che segnerebbe la nascita di due figure di “rex” distinte una detentrice del potere terreno, l’altra esclusivamente religioso, di evoluzione della figura di un re-stregone, cfr. Tesi di Laurea di Michela Deponti, Milano, AA 2010-2011. Dinstinzione che secondo la tradizione romana sarebbe stata istituita dal secondo re di Roma, il sabino Numa Pompilio (Pontifex maximus).

9. Tito Livio, ab Urbe condita I, 12 – . Cfr. anche VIII, 6

9bis. Intorno AL DUELLO, Isacco Pesaro-Maurogonato – Dalla tipografia di Alvisopoli, 1839. Vedasi anche ordalia intorno alla Bocca della Verità.

9ter. Plutarco (46 – 125 d.C.): “Nel quinto anno del regno di Tazio, alcuni suoi amici e parenti incontrarono casualmente per strada ambasciatori che da Laurento si recavano a Roma; li assalirono e cercarono distrappare loro con la forza le ricchezze; siccome quelli non cedevano ma opponevano resistenza, li uccisero. Poiché avevano osato un’impresa gravissima, Romolo ritenne giusto punire subito i colpevoli, mentre Tazio esitava e prendeva tempo. Questo fu l’unico motivo di disaccordo maninfesto; per il resto, infatti, c’era sempre stata armonia tra loro e, per quanto possibile, reggevano lo stato in comune e d’accordo”. In una delle versioni riportate da Dionigi di Alicarnasso (2, 52, 3) si racconta che Tito Tazio avrebbe trovato una morte terribile, “trafitto presso gli altari dai coltelli sacrificali e dagli spiedi su cui si infilzavano i buoi” (trad. F. Cantarelli). (cfr. La tomba di Tito Tazio e l’armilustrium, Francesco Marcattili, 2009).

10. Ellanico di Mytilene V sec. a.C. (FGrHist 4 F 84). L’autore della raccolta su Le Sacerdotesse di Argo e sui fatti accaduti durante il sacerdozio di ognuna, afferma che il fondatore della città: la chiamo Roma da Rhome una delle donne venute da Ilio(?). Costei, dopo avere istigate le altre, avrebbe appiccato assieme a loro il fuoco alle navi stanca del continuo vagare. (Traffici Focei in età arcaica, Luca Antonelli, 2008). Cfr. anche rappresentazione stilizzata della valle Murcia tra i colli Capitolino ed Aventino, sovrastata dal picchio (Pico) che distribuisce tra le mura, il grano prelevato dalle piramidi: “Fig. 3 di particolare inciso di anfora d’impasto” (collezione Cima di Vetralla) in “Una nuova iscrizione etrusca del VII secolo e appunti sull’epigrafia ceretana dell’epoca”. Giovanni Colonna, Mélanges d’archéologie et d’histoire, Année 1970, Volume 82.
I Picidi, più comunemente conosciuti come Picchi, raggruppano più di 200 specie di uccelli, noti per la loro capacità di arrampicarsi sui tronchi degli alberi e di scavare buchi nel legno con il becco, che è diritto, appuntito e simile a uno scalpello ed un cranio tra i più resistenti in natura. Hanno, inoltre, una lunga lingua dalla punta dura a forma di lancia, che può essere estroflessa. Le dita delle zampe, munite di forti artigli, sono solitamente disposte due in avanti e due all’indietro. In alcune specie, una delle due dita posteriori è assente. La coda è rigida, con il calamo delle penne che termina in spine dure, sulle quali l’uccello sostiene il proprio peso.
Cfr. anche B.Carson (CBS NEWS, 4.11.2015) “My own personal theory is that Joseph built the pyramids to store grain”. L’ara di Conso, antico dio italico del grano, è posta nella vallis Murcia e le memorie del dio sono limitate alla valle del Circo Massimo. Il ratto delle Sabine, organizzato da Romolo è avvenuto dutante i Consualia. L’ara di Conso tornò alla luce nel 1526 (Heidelberg University Library, Marliani Bartolomeo. Antiq.Romae Topographia, ediz. del 1534, Libro III, cap.xii, 155). “Ripetevano i Romani anche al mio tempo la festa allora consacrata a Romolo chiamandola Consuali (i giochi istituiti da Romolo nel ratto delle Sabine furono chiamati Consuali perchè fatti in onore del dio Conso, dopo furono detti Circensi quando Tarquinio Prico fece il circo Massimo, sembra che la prima volta fossero celebrati nel campo Marzio). Alcuni ritengono la ragione di quel rapimento la scarsità di femmine, altri per dare impulso a far guerra, altri più pervasivi, ai quali io m’attengo, la necessità di avere amicizie con gli abitanti vicini. Durante la festa un altare sotterraneo scalzato intorno di terra si onorava con sacrifici e vi si bruciavano primizie. La festa era celebrata per nettuno e così i giochi equestri, ma l’altare sotterraneo era consacrato infine ad un genio ineffabile, guidatore e custode dei segreti disegni. Ceramente Nettuno non tiene alcun altare invisibile. Comunque è difficile dire quale sia la verità.” (Dionigi di Alicarnasso, Le Antichità Romane, II, 30, 3).

10bis. “Oppidum, quod primum conditum in Latio stirpis Romanae, Lavinium: nam ibi Dii Patriis pro salute Urbis facere, ante aram confectus est“, M.Terenzio Varrone, lib.4.

11. “…dove un elemento –Laurentes– indica l’appartenenza etnica, l’altro –Lavinates– la comunità organizzata…”, Massimo Pallottino

12. “Lorentum in Aventino vocatur ubi silva Lauri fuit“, Plinio, lib. 15. cap.30.

13. Marchese Giampiero Lucatelli, Dissertazione VIII, Tomo VII, in “Saggi di dissertazioni accademiche pubblicamente lette nella nobile accademia etrusca dell’antichissima citta di Cortona”, Stamperia di Pallade, 1758.

14. Feliciano Serrao, Seccessione egiuramente della plebe al Monte Sacro, [8]. Storia @ Diritto n. 7/2008.