STATO CORPORATIVO E CORPORATIVISMO

LA NATIONAL RECOVERY ADMINISTRATION (N.R.A.)

Negli U.s.a., il tentativo di introdurre lo Stato corporativo viene fatto risalire al National Industrial Recovery Act (N.I.R.A.) ed alla National Recovery Administration (N.R.A.), che aveva il compito di sovraintendere alla stesura delle norme di concorrenza leale. L’N.R.A. aveva sorprendenti affinità con il sistema fascista di organizzazione industriale in Italia, sebbene senza la brutalità e i metodi di stato di polizia (squadrismo) di quest’ultimo. L’N.R.A era sostanzialmente un sistema di pianificazione economica privata (autogoverno industriale), con supervisione governativa.[1]

Il 27 maggio 1935 l’N.R.A. fu dichiarata incostituzionale dalla Corte suprema. Sostanzialmente, la stesura del codice sulle “norme di concorrenza leale” da parte della N.R.A. rappresentava una delega incostituzionale del potere legislativo in violazione della Commerce Clause[2].

IL DECRETO DEI PIENI POTERI

In Germania, lo stato corporativo e’ stato introdotto con l’emanazione del c.d. decreto dei pieni poteri, che permise al Cancellire Adolf Hitler ed al suo gabinetto di promulgare leggi senza l’approvazione del Parlamento tedesco (Reichstag), concentrando di fatto nelle sue mani il potere legislativo e quello esecutivo.

IL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE CORPORAZIONI

In Italia, l’occasione per introdurre il corporativismo fu la “Carta del Lavoro”. Il testo fu approvato dal Gran Consiglio del Fascismo il 21 aprile 1927 e nonostante non avesse valore di legge o di decreto, non essendo allora il Gran Consiglio organo di Stato ma di partito, esso fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 100 del 30 aprile 1927.

Nello storico suo discorso del 14 novembre 1933 al Consiglio Nazionale delle Corporazioni[3], Benito Mussolini dichiarò: “il corporativismo è l’economia disciplinata, e quindi anche controllata, perché non si può pensare a una disciplina che non abbia un controllo. Il corporativismo supera il socialismo e supera il liberismo; crea una nuova sintesi.”

Erra chi crede che “Stato corporativo” significhi soltanto Stato fondato sulle “Corporazioni”. “Stato corporativo” e “Stato fascista” sono termini equivalenti, poiché, come disse Benito Mussolini: “lo Stato fascista è corporativo, o non è fascista.

Non si deve credere quindi che il corporativismo sia soltanto l’insieme delle istituzioni che hanno il fine di regolare i rapporti fra i datori di lavoro e i lavoratori. Questa è solo una parte del corporativismo. Il corporativismo non regola solamente la questione sociale, ma è un nuovo sistema di organizzazione, di vita e di attività della collettività nazionale e dello Stato nel campo economico e politico. Il corporativismo è un nuovo ordinamento dello Stato in cui tutte le forze politiche e tutti gli organi vengono fatti convergere verso il maggiore potenziamento e verso il massimo benessere della collettività, sulla base di un’unica sovranità: quella dello Stato (non del Popolo). È una nuova organizzazione della nazione in cui le attività degli individui e dei gruppi sociali sono sempre subordinati ai superiori fini nazionali.

In altri termini, lo Stato è corporativo (e quindi fascista) non solamente in campo economico, ma pure nel campo costituzionale, amministrativo e politico. Il concetto di “Stato corporativo” non è unicamente un concetto politico ma è altresì ed essenzialmente un CONCETTO GIURIDICO che riguarda la struttura dello Stato medesimo.

lo Stato corporativo o Stato fascista si chiama così non perché sia fondato soltanto sulle corporazioni (o sui fasci), ma perché è uno Stato nel quale l’organizzazione, la vita e l’attività economica, sociale e politica sono fondate sul corporativismo.[4]

Esempio nostrano, recentissimo, di pseudo-diritto corporativo è il decreto del ministro dell’Economia e Finanze, Mario Monti, per l’applicazione dell’Imu sugli enti non commerciali, che il Consiglio di Stato ha bocciato proprio perche’ “non e’ demandato al Ministero – scrivono i giudici di Palazzo Spada – di dare generale attuazione alla nuova disciplina dell’esenzione Imu per gli immobili degli enti non commerciali.” Infatti tale competenza è del Parlamento, cioè l’organo legislativo previsto dalla Costituzione italiana.

Altro esempio di pseudo-diritto corporativo nostrano è la “legge” elettorale c.d. porcellum. La Corte costituzionale italiana, con la nota sentenza 1/2014, ha dichiarato illegittima detta legge elettorale, tra le altre motivazioni, proprio perché non consente l’elezione diretta dei rappresentanti del Popolo nell’organo legislativo (Parlamento). Purtroppo la stessa sentenza (redattore di ultima istanza: Tesauro) si rivela contraddittoria laddove dice: “la decisione che si assume produrrà i suoi effetti esclusivamente in occasione di una nuova consultazione elettorale, consultazione che si dovrà effettuare o secondo le regole contenute nella normativa che resta in vigore a seguito della presente decisione, ovvero secondo la nuova normativa elettorale eventualmente adottata dalle Camere. Essa, pertanto, non tocca in alcun modo gli atti posti in essere in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate, compresi gli esiti delle ELEZIONI svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento ELETTO. Del pari, non sono riguardati gli atti che le Camere adotteranno prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali. Rileva nella specie il principio fondamentale della continuità dello Stato [5], che non è un’astrazione e dunque si realizza in concreto attraverso la continuità in particolare dei suoi organi costituzionali: di tutti gli organi costituzionali, a cominciare dal Parlamento.

In pratica, la Corte dice che la Repubblica si è trasformata in Stato corporativo con il porcellum, in cui i partiti sono divenuti corporazioni, ma per il principio di continuità dello Stato (corporativo), e cioè della continuità degli uomini, il novello fascismo può tranquillamente continuare ad operare, come se nulla fosse, attraverso il suo falsus procurator costituzionale, nominato e non eletto, in una sorta di “fascismo senza Mussolini”, che per di più si è pure premurato di ri-eleggere il vecchio Presidente, anziché eleggere il nuovo!

L’UNIONE EUROPEA E L’USO DISTORTO DELLA DOTTRINA DEI POTERI IMPLICITI

In Europa, lo stato corporativo (o fascista) viene giuridicamente introdotto dal trattato di Lisbona, precisamente con l’art. 352 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE) che recita:

Articolo 352 (ex articolo 308 del TCE)
1. Se un’azione dell’Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite dai trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate. Allorché adotta le disposizioni in questione secondo una procedura legislativa speciale, il Consiglio delibera altresì all’unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo.
2. La Commissione, nel quadro della procedura di controllo del principio di sussidiarietà di cui all’articolo 5, paragrafo 3 del trattato sull’Unione europea, richiama l’attenzione dei parlamenti nazionali sulle proposte fondate sul presente articolo.
3. Le misure fondate sul presente articolo non possono comportare un’armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri nei casi in cui i trattati la escludono.
4. Il presente articolo non può servire di base per il conseguimento di obiettivi riguardanti la politica estera e di sicurezza comune e qualsiasi atto adottato a norma del presente articolo rispetta i limiti previsti nell’articolo 40, secondo comma, del trattato sull’Unione europea
.”

Tale articolato ripropone con uso distorto in chiave internazionalistica la dottrina sui poteri implici dello Stato federale.

L’art. 352-TFUE istituisce non solo una competenza legislativa per l’Unione europea, ma allenta anche il (sacrosanto) principio dell’attribuzione specifica limitata. Infatti, secondo il paragrafo 1, un atto legislativo dell’Unione nel quadro delle politiche definite dai trattati deve essere possibile anche in mancanza di una competenza concreta, se l’atto legislativo dell’Unione europea è necessario per realizzare uno degli obiettivi dei trattati (art. 352, paragrafo 1, TFUE).

Nel diritto previgente, l’art. 308-TCE (ex art. 235-CEE) appariva come una “competenza di arrotondamento dei trattati” che consentiva un “perfezionamento immanente dei trattati” nel diritto dell’Unione “al di sotto della soglia della modifica formale dei trattati“.

Come noto, l’Unione europea è qualificata come Unione pattizia tra Stati che restano sovrani, è dotata di personalità giuridica ma è priva di sovranità originaria in quanto non esiste un “popolo europeo” ma un’unione di popoli. L’Unione esercita quindi poteri pubblici che le sono stati concessi, in condizioni di parità e reversibilità, dai c.d. “Signori dei trattati” (gli Stati nazionali) i quali hanno accettato con la ratifica del trattato internazionale (in Italia ad opera del Parlamento in altri Stati con referendum), di limitare le proprie competenze in favore dell’Unione, allo scopo di promuovere i commerci e mantenere la pace.

Tuttavia, le modifiche apportate dal Trattato di Lisbona all’art. 308-TCE (oggi art. 352-TFUE) hanno imposto alla Corte costituzionale tedesca una nuova valutazione della disposizione.

L’art. 352 TFUE difatti non è più limitato alla realizzazione degli obiettivi nell’ambito del mercato comune, riferendosi piuttosto al “quadro delle politiche definite dai trattati” (art. 352, paragrafo 1, TFUE), ad eccezione della politica estera e di sicurezza comune (art. 352, paragrafo 4, TFUE).

Tale disposizione serve quasi, nell’intero ambito di applicazione delle fonti primarie, a creare una competenza (auto-legittimazione) che consente un’azione legislativa a livello europeo. Questa estensione dell’ambito di applicazione, rispetto all’ex art. 308-TCE, seppure compensata in parte da dispositivi di garanzia con norme procedurali, non contempla una preventiva approvazione da parte degli Stati membri in armonia con le rispettive norme costituzionali e tale preventiva approvazione non rientra nemmeno tra i presupposti per l’entrata in vigore di un eventuale atto legislativo adottato con riferimento all’art. 352-TFEU.

La Corte costituzionale tedesca (Bundesverfassungsgericht), con la nota sentenza del 30 giugno 2009 (par. 325-328) sul trattato di Lisbona, ha dichiarato l’art. 352-TFUE di dubbia costituzionalità in quanto esso rappresenta una “delega in bianco” (di autorità o poteri pubblici) o una “cessione di competenza sulla competenza” (cessione di sovranità) vietata dalle norme costituzionali. La sovranità popolare è infatti definita come originaria, assoluta, indivisibile, inalienabile e imprescrittibile sicché il principio di diritto pubblico riassunto nel brocardo latino delegata potestas non potest delegari vieta la delega di sovranità (in latino potestas).

In pratica, la disciplina novellata dell’art. 352-TFUE in senso corporativo (o fascista) rende possibili modifiche sostanziali delle basi pattizie dell’Unione europea senza che vi partecipino in modo costitutivo, oltre ai poteri esecutivi degli Stati membri, anche organi legislativi.

I parassiti del principio di legalità, ed architetti dello pseudo-diritto corporativo, si annidano quindi nei regolamenti ed atti comunitari, nelle sentenze della Corte di Giustizia europea e negli atti emanati dalla Commissione europea, dalla Banca centrale europea, dal Consiglio europeo ed in generale nelle tecnocrazie sovranazionali che si arrogano poteri legislativi autoreferenziali.

Spesso gli organi di disinformazione e propaganda corporativa europea, parlano di “cessione della sovranità” o di “sovranità perduta” anziché di “concessione di autorità o poteri pubblici o competenze” confondendo ciò che attiene alla sovranità (potestas) – cioè alla legittimazione del potere (legislativo, amministrativo e giudiziario) che si realizza principalmente con l’esercizio del voto e che appartiene al Popolo – con l’esercizio (legittimo) di un’ autorità o potere pubblico o competenza (auctoritas) che compete invece allo Stato e si realizza attraverso le istituzioni (legislative, amministrative e giudiziarie) con le limitazioni previste dalla Costituzione (principio di legalità).

L’ideologia fascista difatti nega il principio della sovranità del popolo (potestas in populo, auctoritas in senato scriveva Cicerone, De Legibus 3, 28) ed afferma in vece il dogma della sovranità dello stato.

Uno tra i più autorevoli sociologi italiani non si è fatto remora di scrivere, non a torto, il libro intitolato: “Il colpo di stato di banche e governi. L’attacco alla democrazia in Europa“, definendo come “autoritarismo emergenziale” l’usurpazione del potere esecutivo, regolamentare e di iniziativa legislativa in politica economica (e non solo monetaria) da parte delle banche centrali, fondato sulla disinformazione, sull’inganno, sulla menzogna circa le reali cause della crisi economica allo scopo, fin troppo evidente, di salvare se stesse ed il sistema autoreferente delle grandi banche universali sul modello tedesco.

LE AUTORITA’ AMMINISTRATIVE INDIPENDENTI

Una riproposizione, in chiave post-moderna, del concetto giuridico del corporativismo in economia è rappresentato oggi in Italia dalle c.d autorità amministrative indipendenti, prima fra tutte, dalla Banca D’Italia. Anche queste autorità pubbliche tentano di auto-legittimarsi nell’esercizio del potere regolamentare sulla base di un uso distorto della dottrina dei poteri implici dello stato federale.

Già la denominazione è tutto un programma: autorità amministrative indipendenti. Verrebbe da chiedersi: “indipendenti da chi o da che cosa?”

L’idea scellerata è quella di replicare nei diversi settori economici (es. credito e risparmio, energia, telecomunicazioni, trasporti, lavori pubblici, mercati, assicurazioni, ecc.), ma non solo (si pensi al diritto alla riservatezza o al diritto di sciopero, alla concorrenza, alla corruzione), la tendenza espansiva dei poteri in atto per la corporazione del credito e della raccolta del risparmio, cioè della banca centrale.

L’obiettivo sarebbe quello di consolidare in capo a queste nuove corporazioni un potere regolamentare erga omnes (un autogoverno del settore economico o dei diritti e delle tutele) ovviamente giustificato e condito con la solita retorica propagandistica in ordine o alla “tutela del risparmio” o al “buon funzionamento del mercato” o alla “tutela del consumatore” o alla “tutela della concorrenza” o alla “tutela e salvaguardia dei beni pubblici”.

In realtà non si fà altro che riproporre la ricetta del corporativismo (o fascismo) e cioè l’auto-legittimazione del potere legislativo in capo a nominati (e non eletti) allo scopo di auto-tutelarsi ed agevolare gli interessi corporativi del settore a spese della collettività.

Secondo alcuni ciò non dovrebbe essere possibile [6] in quanto la Corte costituzionale (sentenza 300/2003) ha rigettato una lettura estensiva del potere di vigilanza di un’autorità pubblica, sino a ricomprendere il potere regolamentare.

BCE, COMMISSIONE EUROPEA E CONSIGLIO EUROPEO

La questione del corporativismo giuridico nelle istituzioni europee, Banca Centrale Europea, Commissione europea e Consiglio europeo, è ben riassunto (nei suoi effetti concreti e tangibili in spregio della sovranità popolare) nel testo della interpellanza n. 09.3256 del 20 marzo 2009, al Consiglio federale svizzero e relativa risposta del 3 marzo 2010. [7] [8]

Alcuni giuristi hanno descritto molto chiaramente il meccanismo con cui le térmiti ed i tarli del pseudo-diritto corporativo travestito da diritto sovranazionale od internazionale infestano le costituzioni liberali e democratiche degli Stati sovrani. [9] [10]

BUROCRAZIA, TECNOCRAZIA, CORPORATIVISMO E TOTALITARISMO

La premessa della tecnocrazia è la trasformazione del Popolo in massa. La conseguenza della tecnocrazia è il totalitarismo, cioè l’assorbimento totale e finale della società da parte di uno Stato. Elemento essenziale di questa trasformazione è l’autoreferenza dello Stato, che non trova più legittimazione nel Popolo ma in se stesso e quindi nella élite dominante. [11]

AUCTORITAS (IMPERIUM) ET POTESTAS

Il concetto di Sovranità (potestas) che sembrava fissato in forma definitiva dalla Rivoluzione francese del 1789, con l’avvento degli organismi sovranazionali, ed in particolare dell’Unione europea (UE), viene fatto nuovamente oggetto di una totale revisione nonostante le recenti esperienze nefaste dei fascismi e totalitarismi del XX secolo.

Il concetto di Sovranità non è presente nel pensiero greco. Alla domanda a chi appartiene il potere nella Grecia antica viene risposto che il potere appartiene naturalmente a chi è più idoneo. Per Trasimaco il più idoneo è il più forte, per Socrate il più idoneo è il più sapiente.[12] Aristotele trasse la conclusione e giunse ad affermare che il potere secondo natura appartiene alle leggi fondate sulla ragione e che i magistrati hanno soltanto la facoltà di adeguarle alla varietà del reale. L’identità tra governanti e sapienti deveva portare al governo dei filosofi.

I Romani erano troppo realisti per un governo dei filosofi e troppo dinamici per proclamare il dominio statico delle leggi secondo natura, sicché introdussero il concetto della collettività. Si giunse così alla definizione di Cicerone per cui la Sovranità spetta al popolo mentre l’autorità al senato.[13] Lo stesso Ottaviano Augusto col principato, dopo la restaurazione della legalità, afferma di non aver mai prevalso per potestas, ma di essere stato superiore a tutti in auctoritas.[14]

L’impero romano tramandò per secoli con la Lex regia il principio giuridico esposto da Cicerone, anche se già all’inizio del III secolo, al tempo di Ulpiano[14bis], non aveva più alcun riscontro reale, ma solo un valore ideologico-legittimante senza efficacia pratica. Era un espediente utile per rafforzare l’autocrazia dell’imperatore.

Nel medioevo dopo la caduta dell’impero romano, nella grande rissa che si scatenò in Europa, tutti pretesero di possedere ed esercitare legalmente l’autorità. Nel V secolo, Papa Gelasio I ridefinì il dualismo nel medioevo cristiano ponendo l’auctoritas in capo al pontefice e la potestas in capo all’imperatore.[15]

Nel VI secolo l’imperatore Giustiniano afferma con la costituzione Deo auctore di avere ricevuto (derivazione diretta) il potere imperiale da Dio.[15bis]

Nel 1075, Papa Gregorio VII negava con il Dictatus papae il primato del regnante sul pontefice e si iniziava così fra le due autorità la lotta per ottenere la plenitudo potestatis ossia la supremitas.

Se la Chiesa vantava la propria supremitas sullo Stato [16], all’autorità dell’impero si sottraevano i re proclamandosi imperator in regno suo, mentre i signori feudali si facevano re nei propri castelli.

Nel XII secolo Federico Barbarossa preferì, per le proprie tendenze autocratiche, non utilizzare il precetto della Rex regia, ritenendo per la legittimazione del suo regno che il diritto divino, quello ereditario ed il consenso dei principi tedeschi fossero sufficienti a sostenere l’origine e la trasmissione del potere imperiale. Nella mentalità del Barbarossa la legittimazione del potere discendente direttamente da Dio escluse la possibilità dell’investitura (mediazione) popolare.[17]

Nel XIII secolo, Federico II (stupor mundis) muta radicalmente la situazione ed il richiamo esplicito alla Rex regia era posto in funzione dell’assolutismo contro le pretese della curia romana. L’intento era quello di porre radicalmente – nel senso che secondo Federico II la cessione della potestats da parte del popolo romano all’imperatore è definitiva ed irreversibile – l’autorità imperiale quale unica fonte di legittimazione dell’ordinamento giuridico.[17bis] Azzone nega che la potestas sia stata trasferita al principe in via definitiva.[18]

I sostenitori del papa videro inizialmente nella origine umana della legittimazione imperiale una prova dell’inferiorità dell’autorità imperiale rispetto a quella della Chiesa.[18bis] Ma ben presto i canonisti si accorsero che l’inferiorità si trasformava in indipendenza e si giunse ad accentrare nella Chiesa ogni potere di investitura.[19], [20], [21]

Il processo di accentramento del potere nella Chiesa giunse alla sua massima espressione ed al contempo alla sua definitiva sconfitta con Bonifacio VIII. “Io sono Cesare, Io imperatore” egli affermava.

Marsilio da Padova giunse alla prima teorizzazione dello Stato moderno elaborando il concetto della sovranità del popolo.

Nel XIV e XV secolo, il principio della Sovranità del popolo contenuto nella Lex regia divenne quindi per i sostenitori dell’impero il fondamento a favore dell’autonomia originaria dello Stato rispetto alla Chiesa.[22] Il polemista germanico Ludovico il Bavaro dichiarava nel 1338: Declaramus quod dignitas et potestas est immediate a Deo solo. Mentre i legisti italiani difendevano nell’imperatore l’ultimo residuo della tradizione romana e del suo diritto come potenza della ratio, i polemisti germanici volevano salvare l’imperatore piuttosto che il diritto naturale che esso rappresentava.

Nella pratica, col sistema dei principi elettori dell’imperatore, l’azione politica germanica giunse a sottrarre al popolo romano anche l’esercizio formale della potestas. I ghibellini germanici tuttavia non riuscirono ad opporre alla teocrazia papale una teocrazia imperiale e laica.

Nella contesa per ottenere la supremitas si vennero a definire anche i caratteri della Sovranità. Prima che Lorenzo Valla dimostrasse il falso storico della “donazione di Costantino”, i ghibellini con Dante Alighieri, nello sforzo di dimostrarne l’illegittimità della donazione, erano riusciti a sancire il carattere inalienabile della Sovranità.[23]

Nel XVII secolo l’assolutismo proclamò la Sovranità del capo dello Stato veramente suprema, ossia sciolta dalle leggi. L’ideologismo monarchico con Giacomo I d’Inghilterra proclamava: “Un vero re può conformarsi alla legge, ma nulla ve lo obbliga.”

Nel XVIII secolo Jean-Jacques Rousseau ritrasferì nel popolo la Sovranità che i re attribuivano a se stessi. Questa sovranità del popolo fu dichiarata una, inalienabile, imprescrittibile.

CONCLUSIONI

Oggi, come allora, l’essenza (giuridica) dello Stato corporativo (o fascista) consiste nel porre il potere legislativo al di fuori della portata dei rappresentanti del Popolo legittimamente eletti (e non nominati) a suffragio universale, per consegnarlo nelle mani di elitès minoritarie, nominate e non elette.

Il totem del corporativismo (o fascismo) europeo da idolatrare è l’euro, promosso (guarda caso) dal governo Prodi.

L’ideale di giustizia non può che essere l’utile del più forte, cioè l’utile dello Stato corporativo medesimo (Panunzio scriveva: lo Stato fascista è lo Stato forte).

Le corporazioni principali dello Stato fascista post-moderno – funzionali all’accentramento di ogni interesse e che siano in grado sorvegliare e controllare all’occorrenza ogni aspetto della vita degli individui, con privilegi tali da poter soggiogare i forti ed umiliare i deboli, come nei regimi totalitari – sono le banche centrali e le grandi banche universali. L’economia pianificata a proprio vantaggio garantisce loro prosperità indipendentemente dal ciclo economico.

Questo leviatano post-moderno (da cui tutto dipende e dove tutto finisce) che muove alla conquista degli Stati nazionali è stato partorito in Italia dal testo unico bancario (TUB) – promosso nel 1993 (guarda caso) dal governo Amato è entrato in vigore dal 1994 – ha la testa di banca centrale, le braccia e le gambe delle grandi banche universali.

Di fatto, le banche centrali attraverso l’allentamento quantitativo (c.d. QE quantitative easing), cioè mediante “operazioni di mercato aperto” con offerta illimitata di moneta, hanno usurpato le decisioni di politica economica che spettano ai Parlamenti nazionali. Attraverso queste “operazioni c.d. non convenzionali”, propinate dalla propaganda corporativa come decisioni di politica monetaria, in realtà la banca centrale provvede alla redistribuzione del reddito, a drenare cioè risorse dalle famiglie ed imprese verso il sistema bancario. Ciò si realizza attraverso il pagamento degli interessi sul debito pubblico, se non addirittura con salvataggi diretti delle banche posti a carico del debito pubblico stesso, come avvenuto negli Usa o nel Regno Unito. Questo sistema fascista scellerato di preservazione del potere, fondato sull’inganno ed utilizzato sin dal 2008 allo scopo di socializzare le perdite del sistema bancario deflagrato in seguito alla crisi dei mutui subprime, è stato messo in atto proprio per impedirne il fallimento e mantenerne intatta l’abnorme (e poco controllata) commistione di interessi economici e di potere politico tra grandi banche e governi. In breve il meccanismo della truffa è il seguente: le entrate fiscali degli Stati nazionali che derivano dalla riscossione delle imposte a carico di famiglie ed imprese sono messe al servizio del pagamento degli interessi sul debito pubblico; gli interessi sul debito pubblico sono in massima parte lucrati dal sistema bancario, senza che questo assuma alcun rischio; il sistema bancario acquista i titoli di stato con la moneta creata dal nulla dalla banca centrale, che viene messa disposizione delle banche senza condizioni di impiego, pressoché illimitatamente e gratuitamente. Questo meccanismo ovviamente non contempla l’esercizio del credito.

Il corporativismo cresce nutrendosi del lavoro altrui.

Lavoratori di tutto il mondo unitevi!

NOTE

1. Rondo Cameron – Larry Neal, Storia economica del mondo, II volume, Ed. Il Mulino, Bologna, 2002 ;

2. U.S. Constitution – Commerce Clause ;

3. Discorso di Benito Mussolini al Consiglio Nazionale delle Corporazioni, 14 novembre 1933 ;

4.  Pietro Fedele, Grande Dizionario Enciclopedico – UTET

5. Francesca Pelini, Problematiche della continuità dello stato, Pisa, 2000

6. Poteri impliciti di Giuseppe Morbidelli. Notare l’uso del vocabolo “auctoritas” (autorità o potere pubblico o competenza) e non “potestas” (sovranità).

7. Parlamento svizzero, Interpellanza 09.3256 ;  Testo Depositato: A causa della competenza del Consiglio federale di concludere trattati internazionali, sempre più frequentemente i diritti democratici del nostro Paese vengono scardinati. Spesso né il Parlamento né il popolo possono pronunciarsi a titolo preliminare su simili trattati. E tutto ciò nonostante il fatto che i trattati internazionali riducano notevolmente la capacità d’agire della Svizzera e impediscano l’applicazione del diritto interno. La conclusione di trattati internazionali indenunciabili incide profondamente e pericolosamente sui diritti del popolo svizzero, poiché determina in modo irreversibile il futuro del nostro Paese, il più delle volte senza alcuna legittimazione democratica. Chiedo al Consiglio federale di rispondere alle domande seguenti: 1. Il Consiglio federale riconosce che la conclusione di trattati internazionali solleva problemi a livello democratico? 2. Come intende il Consiglio federale rafforzare i diritti del Parlamento e del popolo svizzero in questioni internazionali? 3. Sono già stati conclusi trattati internazionali indenunciabili? Se sì, quali? 4. Questi trattati sono davvero indenunciabili o esistono in ogni caso condizioni che consentono di disdirli?

8. L’iniziativa popolare “Per il rafforzamento dei diritti popolari in politica estera (accordi internazionali: decida il popolo!)”, depositata l’11 agosto 2009.

9. Profili problematici della cosiddetta illegittimità comunitaria di Salvatore Giacchetti.

10. Le térmiti comunitarie
ed i tarli dei trattati internazionali
di Giovanni Virga.

11. Goytisolo, apologeta del diritto naturale di Massimo Introvigne, 3 settembre 2011.

12. Confutazione di Trasimaco nelle Leggi di Platone.

13. Cum potestas in populo auctoritas in senatu sit – Cicerone, De Legibus 3, 28.

14. Auctoritate omnibus praestiti, potestatis autem nihilo amplius habui – Ottaviano Augusto, Res Gestae.

14bis. Quod principis placuit, legis habet vigorem – Ulpiano, D. 1, 4, 1 pr.

15. Duo quippe sunt quibus regitur mundus, auctoritas sacrata pontificum et regalis potestas – Gelasio I.

15bis. Deo auctore nostrum gubernantes imperium, quod nobis a caelesti maiestate traditum est – C. 1, 17, 1.

16. Iure regnum sacerdotio subiacebit, Onorio di Autun.

17. Considerazioni sulla ‘lex regia de imperio’ (secoli XI-XIII) – Berardo Pio, 2011.

[17bis]. De origine iuris (Melfi 1231). Nella costituzione l’imperatore ricorda il trasferimento del diritto di legiferare e del comando supremo (imperium) operato – una volta per tutte, s’intende – dai Quiriti in favore del principe mediante la Lex regia ed individua la ragione di tale translatio nella necessità di riunire nella stessa persona l’origine e la difesa della legge, in modo che alla giustizia non manchi la forza e alla forza non venga meno la guida della giustizia. (v. nota 17).

18. Dicitur enim traslata, id est concessa, non quod populus omnino a se abdicaverit eam – Azzone, Summa Codicis I, 14, 8.

18bis. L’imperatore legifera non come scelto da Dio ma come quello cui popolo hoc permissum estInrnerii Summa Codicis, I, 14, 3.

19. Potestas ab umana mente immediate provenit, licet Deo tamquam a causa remota – Marsilio da Padova.

20. Certum est reges potestatem suam accipere ab ecclesia – Tommaso Cantuariense.

21. Ecclesia romana, cuius est regna transferre et reges de sua sede deponere – El Alvario Pelagio.

22. Quis dedit populo romano potestatem eligendi imperatorem, nisi ipsum ius divinum et naturale? – Nicolò Cusano.

23. Constantinus alienare non poterat imperii dignitatem… si ergo alique dignitates per Constantinum essent alienate, scissa esset tunica inconsultis – Dante, De Monarchia, III

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