SCELTE OBBLIGATE PER L’EUROPA

BANCO-STATO CORPORATIVO EUROPEO, MA QUANTO MI COSTI ?

Non e’ del tutto chiaro chi debba ancora pagare per la redistribuzione della ricchezza necessaria per il salvataggio dei potentati economici-finanziari ora in crisi: le grandi banche universali.

In Italia, fino ad ora hanno pagato solo lavoratori e pensionati. Recentissimo il decreto legge 87/2012 (cfr. artt. 5 e 10) del governo Monti, ad personam giuridica, che imputa a tagli lineari dei ministeri, o al debito pubblico, gli € 3,9 miliardi (o se preferite 7.551 miliardi delle vecchie Lire) necessari per il salvataggio [1] della banca Monte dei Paschi di Siena.

LE PERDITE DELLE BANCHE

Negli anni 2008-2010 le grandi banche universali di stati nazionali, tra cui Irlanda, Portogallo, Grecia e Spagna, hanno accusato fortissime perdite economiche, per avere assunto rischi eccessivi nella smania di lucro della finanza selvaggia dedita alla cartolarizzazione dei mutui.

I SALVATAGGI

Per tutelare correntisti ed obbligazionisti, ma soprattutto per mantenere intatto il potere politico-economico nelle mani di pochi privilegiati – dal fallimento di queste grandi banche dedite all’economia predatoria ed alla finanza selvaggia – gli stessi stati nazionali sono intervenuti massicciamente in loro aiuto socializzando le perdite, con oneri posti a carico del bilancio pubblico[2] ossia della fiscalità generale.

IL TRASFERIMENTO DEL RISCHIO

I colossali interventi finanziari di salvataggio hanno minato la sostenibilità dei bilanci degli stati nel lungo termine, trasferendo il rischio di insolvenza dai bilanci privati delle banche ai bilanci pubblici nazionali e quindi al debito sovrano.[3] Per paesi come Irlanda, Portogallo, Grecia – dopo l’esplosione del debito per il salvataggio delle loro grandi banche – si è reso impossibile rifinanziarsi sui mercati collocando titoli di stato. Per evitare che uscissero dall’area euro, gli altri paesi europei hanno dovuto onorare i loro impegni: sono nati i fondi salva-banche, che la propaganda ha subito ridenominato fondi salva-euro o fondi salva-stati.

LO SPREAD

Altri paesi come la Spagna post-fallimento Bankia, e l’Italia hanno sperimentato tassi di interesse sui titoli di stato vigenti prima dell’introduzione dell’euro, aggravando ulteriormente, specie per l’Italia, le gia’ precarie condizioni di equilibrio delle finanze pubbliche. La Francia post-fallimento Dexia, ha perso la tripla A. Il differenziale di rendimento tra i vari titoli di stato con il titolo di stato tedesco (Bund a 10 anni), il famigerato spread e’ divenuto l’emblema e la misura delle difficoltà degli stati a mantenere saldi gli impegni internazionali presi, conseguenti al salvataggio delle banche.[4]

LE MANOVRE FINANZIARIE

Nel tentativo di ristabilire gli equilibri delle finanze pubbliche, e fare rientrare lo spread, i governi europei hanno richiesto sacrifici immani ai cittadini con mastodontiche manovre finanziarie, agendo principalmente sulle pensioni e sulla fiscalità generale. Intere economie, compresa l’Italia, sono state depresse e depauperate della ricchezza, con il solo risultato di condurre le lancette degli orologi al punto di partenza.

IL RITORNO AL PUNTO DI PARTENZA

Questi circoli viziosi di politiche trasimachee da stato corporativo non hanno risolto i problemi, anzi li hanno aggravati oltremodo:

  • le banche restano insolventi,
  • i bilanci pubblici sono fuori controllo,
  • le economie sono asfittiche,
  • le popolazioni sono depresse ed impoverite.

La scelta di onorare e garantire i debiti di poche decine di grandi banche private europee con migliaia di miliardi di euro di risorse pubbliche, poste a carico di famiglie ed imprese con la fiscalita’ generale per i decenni a venire, resterà nei libri di storia come onta indelebile di vilta’ per quei capi di stato, governi, burocrati e partiti politici che si sono prestati all’indegno scippo dei privati risparmi!

LA RESA DEI CONTI

A questo punto, sempre che si voglia evitare il peggio, si pongono delle scelte obbligate, delle due l’una:

1. o si lasciano fallire le banche insolventi, ristabilendo il sano principio del capitalismo per cui chi sbaglia paga, con risorse proprie;

2. o si nazionalizzano le banche trasformandole da private a pubbliche, ristabilendo l’assistenzialismo con risorse altrui, prelevate in modo palese con la fiscalità generale, o in modo occulto con l’inflazione, svilendo cioe’ il potere di acquisto della moneta con quelle medesime operazioni non convenzionali (c.d. quantitative easing) delle banche centrali. [5]

La via di mezzo, quella del banco-stato corporativo europeo che usa i fondi internazionali (FMI, EFSF, ESM), da finanziare con € 3.000 miliardi di risorse pubbliche che ancora servono per mantenere privati ed in vita i grandi conglomerati finanziari europei ormai decotti, scippandole dai risparmi alle famiglie, dal credito per gli investimenti alle imprese, dal reddito da lavoro e pensioni alle giovani generazioni, non sembra piu’ essere politicamente desiderabile, causa azzardo morale ad essa intrinseco.

UN SISTEMA ECONOMICO INGIUSTO

Certo è che non si potrà continuare ad avere in futuro un sistema economico imperniato su attori del mercato privilegiati, le banche, i cui utili distribuiti nei periodi di vacche grasse restano privati, mentre le perdite sono socializzate nei periodi di vacche magre!

NOTE

1. cfr. La Repubblica, Economia & Finanza, del 2 luglio 2012

2. Secondo un documento del 26 maggio 2009, preparato dalla Commissione europea, dalla Bce e dagli Stati membri, i Governi europei hanno gia’ approvato € 3.611,5 miliardi di sovvenzioni per supportare il sistema bancario. Una cifra superiore ai PIL della Germania e dell’Italia messi insieme. (Cfr. Meera Louis, Bruxelles, 12/06/2009, Bloomberg.com ). Ecco l’elenco dei principali interventi, in miliardi di euro, che comprendono: ricapitalizzazioni delle banche, rilascio di garanzie, acquisto di attivita’ ed interventi di liquidita’ dei governi europei. United Kingdom 781.2 / Denmark 593.9 /Germany 554.2 / Ireland 384.5 / France 350.1 / Belgium 264.5 / Netherlands 246.1 / Austria 165 / Sweden 142 / Spain 130 /

3. In Italia, il Documento di economia e finanza (DEF) del 18 aprile 2012, spiega che i prestiti bilaterali alla Grecia e le garanzie fornite all’EFSF hanno fatto aumentare il debito pubblico italiano di 3,9 miliardi nel 2010 e di 6,2 nel 2011. Le garanzie all’EFSF per sostenere Grecia, Irlanda e Portogallo aumenteranno il debito di altri 29,5 miliardi nel 2012 e di 5,2 miliardi nel 2013. In totale fanno quasi 45 miliardi di euro. La partecipazione dell’Italia al capitale ESM vale circa 5,6 miliardi sia nel 2012 sia nel 2013, più altri 2,8 miliardi nel 2014 (cfr. Reuters Italia, 26-06-2012). Ricapitolando, grazie ai vili accordi internazionali presi dai governi Berlusconi e Monti, il debito pubblico italiano e’ aumentato – e aumentera’ – nel periodo 2010-2014 di 58, 80 miliardi di euro per gli aiuti alle banche europee, come segue:

  • nel 2010 di 3,9 miliardi di euro;
  • nel 2011 di 6,2 miliardi di euro;
  • nel 2012 di 35,1 miliardi di euro;
  • nel 2013 di 10,8 miliardi di euro;
  • nel 2014 di 2,8 miliardi di euro.

4. La partecipazione alla costituzione, ad opera del governo Berlusconi, del Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria (EFSF) ha comportato per l’Italia un impegno di bilancio pubblico pari al 17.8598% delle risorse complessive deliberate di 440 miliardi di euro, ossia un impegno per le finanze pubbliche pari a circa 79 miliardi di euro, che in successivo intervento sono state incrementate a 139 miliardi di euro circa. Queste immani risorse sono state garantite al Fondo europeo principalmente dalle manovre del governo Monti (circa 164 miliardi di euro di maggiori entrate e minori spese dal 2012 al 2023 del solo decreto c.d. salva-Italia) che hanno inciso su pensioni, aumenti delle accise sui carburanti, iva, bolli, introduzione dell’Imu sulla prima casa, raddoppio della imposta comunale sugli immobili rispetto all’Ici, solo per citare le misure più note.

5. La Banca Centrale Europea (BCE) allenta i requisiti dei titoli che devono essere consegnati dalle banche in garanzia per ottenere prestiti dall’istituto centrale. Adesso sono ammessi anche i titoli tossici provenienti dalla cartolarizzazione dei leasing auto, prestiti al consumo e mutui commerciali. E’ chiaro a tutti ormai che le risorse destinate a sostenere la liquidita’ dei mercati interbancari, o per calmierare l’innalzamento dei tassi di interesse nel mercato secondario del debito pubblico, sono in realta’ sostegni occulti alla redditivita’ ed al valore cartolare delle grandi banche zombi europee. I c.d. firewalls del FMI – o lo scudo anti-spread che propone Monti – hanno le medesime finalita’ che persegue la banca centrale Usa (FED) dopo il fallimento di Lehman Brothers, ossia quelle di sostenere redditivita’ e valore cartolare delle grandi banche universali per evitare che debbano dichiarare pubblicamente il loro fallimento. Ovviamente queste non sono decisioni di politica monetaria bensì di politica economica che implicano l’utilizzo della tassazione, ma in questo caso senza rappresentanza (taxation without representation).

MANTENERE PRIVILEGI GRATUITI ALLE BANCHE E’ ANCORA POLITICAMENTE DESIDERABILE ?

ROMPERE IL MONOPOLIO DELLA FIDUCIA PER SCIOGLIERE LE BRIGLIA ALLO SVILUPPO DEL PAESE

E’ ancora politicamente desiderabile che lo stato supporti i profitti ed il valore cartolare (rectius: quotazione di borsa) delle banche, accordando loro privilegi gratuiti per il predominio nel mercato del credito e della raccolta del risparmio presso il pubblico? [0]

A questa domanda due studiosi dell’ Universita’ “Ca’ Foscari” di Venezia rispondono negativamente. [1]

Nelle conclusioni del loro studio dal titolo “Competizione bancaria e stabilita’ finanziaria: un’esposizione di equilibrio generale“, pongono in evidenza che i risultati teorici a cui sono pervenuti sono empiricamente rilevanti, confermando la correlazione positiva tra competizione bancaria e stabilita’ finanziaria che gia’ era emersa da numerosi studi.[2] [3] [4] [5]

Per la politica economica e finanziaria, i risultati dello studio offrono un’importante punto di vista riguardo alla questione se supportare i profitti delle banche con delle rendite (extra-profitti) – o, in un contesto dinamico, supportare il valore cartolare (quotazioni azionarie) delle banche – sia ancora un’opzione politicamente desiderabile.

Questo perche’ ancora oggi, una parte consistente della letteratura ed il dibattito politico, di fatto sostengono che la preservazione della profittabilita’ della banca, attraverso rendite (extra-profitti) che aumentino tale profittabilita’ – od il loro valore cartolare –  e’ desiderabile, per quanto cio’ possa indurre la banca ad assumere meno rischi.

Questo argomento a favore del sostegno della profittabilita’ della banca tuttavia ignora come queste rendite (extra-profitti) sono generate, o come sono utilizzate una volta che sono state garantite.

I risultati ottenuti dagli studiosi suggeriscono che il supporto alla profittabilita’ della banca (od al suo valore cartolare) con rendite (extra-profitti), che non dipendono da azioni della banca volte al miglioramento dell’efficienza, potrebbero essere ingiustificate. In particolare gli studiosi arguiscono che se le rendite (extra-profitti) maturano indipendentemente dall’impegno delle banche ad adottare “tecnologie” di intermediazione piu’ efficienti, ed in generale, ad offrire migliori servizi di intermediazione, allora le rendite (extra-profitti) sono sotto-ottimali e non garantiscono la stabilita’ del sistema bancario.

Alla luce di queste considerazioni, le pressioni competitive possono rappresentare un effettivo incentivo per le banche ad adottare “tecnologie” di intermediazione piu’ efficienti.

In un ambiente competitivo, le rendite per essere conseguite dovrebbero necessitare di investimenti in “tecnlogie” che forniscono alle banche un vantaggio competitivo nell’offrire i servizi di intermediazione, piuttosto che derivare da predominio di mercato goduto “gratuitamente”.

NOTE

0. Cfr. la norma di cui all’ art. 11, comma 2, D.Lgs. 385/1993 – Testo Unico Bancario T.U.B., per l’anacronostico privilegio di mercato che vieta, ai soggetti diversi dalle banche, la raccolta del risparmio tra il pubblico.

Cfr. anche la norma di cui all’ art. 2483, comma 2, Codice Civile che blocca di fatto l’unica fonte diretta di finanziamento degli investimenti, da parte delle famiglie, alle piccole e medie imprese (PMI). In particolare, i titoli di debito delle piccole e medie imprese “possono essere sottoscritti soltanto da investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale“. Tale norma crea di fatto un monopolio della fiducia a vantaggio del sistema bancario impedendo la dis-intermediazione del credito, quindi la nascita di mercati primari e secondari per tali titoli, ed in ultima analisi impedisce lo sviluppo del paese. Cosi’ l’ingannevole relazione al decreto legislativo di riforma al diritto societario: ” Importante è infine la disciplina, dettata in attuazione della lettera g), secondo comma, art. 3 della legge di delega (disciplinare condizioni e limiti per l’emissione e il collocamento di titoli di debito presso operatori qualificati, prevedendo il divieto di appello diretto al pubblico risparmio, restando esclusa in ogni caso la sollecitazione all’investimento in quote di capitale), in merito alla emissione di titoli di debito da parte di società a responsabilità limitata. In proposito si è ricercato un equilibrio (evidentemente senza trovarlo) tra l’esigenza di rendere praticabile ed utile per le società a responsabilità limitata l’accesso a queste forme di finanziamento e quella di assicurare la necessaria salvaguardia degli interessi dei risparmiatori. La soluzione elaborata al riguardo dall’art. 2483, sulla base delle indicazioni della legge di delega, è stata quella di consentire la sottoscrizione di tali titoli di debito esclusivamente ad investitori particolarmente qualificati ed in grado quindi di valutare effettivamente il merito del rischio; e di imporre, nel caso in cui i titoli vengono successivamente trasferiti, come può risultare economicamente necessario al fine di procacciarsi la provvista, a carico dei sottoscrittori stessi una garanzia ex lege per la solvenza della società sostanzialmente coincidente con quella prevista in materia di cessione del credito.”

Cfr. anche le operazioni della Bce denominate L.T.R.O. – Longer-Term Refinancing Operation con cui la banca centrale europea ha elargito alle banche circa 1 miliardi di euro, per tre anni, al tasso dell’1%. E’ noto che le banche con queste risorse monetarie hanno acquistato titoli di stato, a tassi ben superiori all’1%. Esse, grazie al loro status corporativo capitanato dalla banca centrale, hanno adottato rudimentali “tecnologie” di intermediazione garantendosi cosi’ gli extra-profitti a spese delle comunita’ dei lavoratori, che sono chiamate a pagare gli interessi sul debito pubblico con la fiscalita’ generale.

Per maggiori dettagli cfr. anche il video di Victoria Grant, sulla frode del sistema bancario.

1. Bank Competition and Financial Stability: A General Equilibrium Exposition, Gianni De Nicolò e Marcella Lucchetta, IMF Working Paper WP/11/295

2. Jayaratne and Strahan (1998) hanno trovato che alla deregolamentazione delle filiali corrisponde un deciso decremento delle perdite sui mutui.

3. Barth, Caprio and Levine (2004), Beck (2006a and 2006b), and Schaeck et al. (2009). Le barriere all’entrata nel mercato bancario ed all’attivita’ bancaria sono associate negativamente a certe misure di stabilita’ della banca.

4. Cetorelli and Gambera (2001) and Cetorelli and Strahan (2006). Le banche che dominano il mercato erigono importanti barriere finanziarie all’entrata per scoraggiare l’imprenditorialita’ nel settore del credito, conducendo al declino, nel lungo termine, le prospettive di crescita di un paese.

5. Lastly, Corbae and D’Erasmo (2011) hanno presentato uno studio quantitativo dettagliato dell’industria bancaria statunitense basato su una versione dinamica calibrata del modello di Boyd e De Nicolo’ (2005), riscontrando l’evidenza di un’associazione positiva tra competizione e stabilita’ finanziaria.

LA CORRELAZIONE TEMPORALE

E’ accaduto più volte che il pubblico sia stato sorpreso dal crollo clamoroso di grandi banche o dall’improvviso rovescio di fortuna di piccole banche locali. Questi avvenimenti provocano lunghe crisi del credito, che si ripercuotono sulla economia di tutto un paese e suscitano disagio in ogni categoria sociale.

In Italia sono rimaste memorabili le crisi bancarie del 1893, del 1921, del 1933 con la culminazione della creazione dell’IRI che disincagliò le banche mediante il soccorso straordinario dell’istituto di emissione (ndr. banca centrale).

L’analisi storica dei fatti ha documentato che siffatte crisi traggono origine da un errore di condotta in cui le banche incorrono con facilità quando sono lasciate libere di agire esclusivamente secondo il proprio discernimento. L’errore consiste nella illusione di potersi sottrarre alla rigorosa osservanza della correlazione temporale fra le operazioni di impiego e quelle di provvista. Le crisi sopraggiungono quando questa elementare norma di prudenza viene sistematicamente violata.

La storia dei crolli bancari è contrassegnata dall’errore ricorrente di investire i depositi a breve scadenza in operazioni di lunga scadenza.

Una lunga esperienza ha provato che le banche di deposito facilmente soggiaciono alla tentazione di trasformarsi in “banche d’affari”, che assumono con i propri clienti rischi incompatibili con la sicurezza a cui aspira chi deposita denaro in banca.

Giuseppe Di Nardi, 1957 )

PERCHE’ LE BANCHE FALLISCONO ?

Perché le banche falliscono?

Molto semplicemente, perché sono sottocapitalizzate.

Quindi la vera domanda diventa: come fa una banca a depauperare il proprio capitale ?

I prestiti sono la principale risorsa nel bilancio di una banca, di conseguenza se questi vanno male hanno il principale impatto negativo sul capitale.

Il 97,5% delle 322 banche Usa che sono fallite tra il 2008 e il 2010 aveva problemi di qualità del credito nei trimestri che precedono la loro chiusura forzata. I crediti problematici sono la causa principale delle perdite delle banche attraverso una diminuzione del margine di interesse e un aumento di valore per perdite di provisioning.

Per le 322 banche fallite, i crediti problematici sono stati accumulati attraverso elevati livelli di crescita organica tali da sacrificare la qualità del credito, l’acquisto di partecipazioni in prestiti rischiosi, e l’avvio di prestiti in nuovi mercati.

Le banche fallite sviluppano anche concentrazioni di crediti nel settore degli immobili commerciali, verso imprese di costruzione e infrastrutture.

Il Texas Ratio ha un forte potere predittivo del fallimento di una banca, e una volta che una banca supera quota 100%, le opportunità di reinserimento sono un mero 5,06%.

Al di fuori del problema della qualità del credito, un’ulteriore causa di depauperamento del capitale, con conseguente chiusura, è rappresentata dalle perdite su titoli di investimento.

Ci sono stati tre esempi fondamentali di “fallimento degli utili“, cioè fallimenti di banche che mostravano qualità dei loro attivi nei trimestri che precedono il fallimento, per cui il capitale è evaporato unicamente a causa della loro perdite di gestione.

I fallimenti per carenza di liquidità, mentre sono presenti nel “settore bancario ombra”, sono abbastanza rari nel settore bancario, assicurato dalla garanzia sui depositi. I pochi esempi fallimenti per carenza di liquidità sono il risultato del regolamento che limita alle banche non ben capitalizzate di rinnovare gli investimenti dei depositi intermediati.

RIFERIMENTI

1. Why Do Banks Fail? Alex J. Cullen, 10/11/2011,  http://ssrn.com/abstract=1957843

COM’E’ VARIATA L’OFFERTA DI MONETA BANCARIA IN ITALIA DAL 1.1.2012 ?

Non e’ un calcolo poi cosi’ complicato, come potrebbe sembrare all’apparenza.

DATI

Aliquota di riserva obbligatoria al 31.12.2011: 2% ;
Aliquota di riserva obbligatoria dal 01.01.2012: 1% ;

Depositi bancari al dicembre 2011: € 1.257.748 milioni;
Depositi bancari al marzo 2012: € 1.276.096 milioni;

PIL 2010 dell’Italia (valore assoluto): € 1.221,16 miliardi.

CONTO “DELLA SERVA”

A. OFFERTA DI MONETA BANCARIA al 31/12/2011

[ € 1.257.748 milioni / 0,02 ] = € 62.887,40 MILIARDI DI EURO

ossia [ € 62.887,40 miliardi / € 1.221,16 ] = 51,5 volte il PIL(*) dell’Italia nell’anno 2010

B. OFFERTA DI MONETA BANCARIA al 31/03/2012

[ € 1.276.096 milioni / 0,01 ] = € 127.609,6 MILIARDI DI EURO

ossia [ € 127.609,6 miliardi / € 1.221,16 ] = 104,5 volte il PIL(*) dell’Italia nell’anno 2010

(*) Il PIL e’ la somma dei redditi (lavoro e capitale) dell’economia nazionale in un anno.

EPILOGO
Gli imprenditori ma soprattutto i pensionati italiani, specie quelli che percepiscono piu’ di 999,99 euro di pensione al mese, dovrebbero sapere che meno “soldi veri” (o banconote) ci sono in circolazione e piu’ si alza l’offerta di “moneta bancaria”.

E voi adesso penserete: “ma cosa centra tutto questo con la lotta al riciclaggio ?”

Bhe’, evidentemente NULLA!

CONTRIBUTI VIDEO

– Il moltiplicatore monetario ;

– Victoria Grant (sottotitoli in italiano) – Public banking